Responsabile scientifico: Anna Maria Sportelli Lippolis Compito dell’Unità L’unità di ricerca dell’Università di Bari intende mettere al centro del suo progetto un’indagine sulle modalità di rappresentazione del processo risorgimentale, in ambito europeo e britannico, ponendo come punto di fuoco privilegiato, ma non esclusivo, la prospettiva bifocale mainstream/marginal, storicizzata nel periodo in oggetto, e in funzione della collocazione geopolitica e culturale dell’Italia. I decenni centrali del diciannovesimo secolo furono certamente cruciali sul piano politico per la formazione dello stato nazionale, ma anche critici sul piano storico-culturale per il consolidarsi di una certa rappresentazione dell’Italia, e del Regno delle due Sicilie in particolare, che prese vita all’interno di un più ampio contesto storico e geografico, segnato dall’affermarsi di un sempre più marcato eurocentrismo. Gli stereotipi culturali che si affermarono a partire dalla seconda metà del diciottesimo secolo sulla scorta delle narrazioni dei viaggiatori, tendenzialmente di segno biunivoco, identificavano il Sud come luogo di sostanziale barbarie, e tuttavia anche di fascino legato a paradigmi simbolici che riconoscevano nell’incontaminato, pittoresco ed esotico, i tratti distintivi di luoghi, esplorati e costruiti sulla scorta delle letture dei classici. Storici della cultura e antropologi come Nelson Moe (2006) e Jane Schneider (1998) hanno da diverse prospettive esplorato le modalità attraverso cui, intorno al 1750, l’area mediterranea iniziò ad essere identificato come luogo di arretratezza rispetto a quella parte di Europa che, viceversa, sembrava indicare la via del progresso: l’Inghilterra, la Francia, e in seguito anche la Germania. In questo senso la liminalità dell’Italia del Sud rispetto all’Italia nel suo complesso, e dell’Italia rispetto all’Europa, pone qualsiasi studio che abbia per oggetto le rappresentazioni del Mezzogiorno nella necessità di tenere conto che le radici di tale questione sono connesse non solo con la storia d’Italia, ma con la formazione della stessa identità culturale europea fra metà settecento e tardo ottocento. Il Mezzogiorno costituiva terra di confine fra l’Europa e un mondo mediterraneo sostanzialmente altro; tale visione dell’estensione geografica finiva con l’amplificarne la distanza rispetto all’Europa, tanto da divenire tratto ricorrente delle rappresentazioni del Sud dal tardo settecento in poi (Augustin Creuzé de Lesser, Voyage en Italie et Sicile, 1806). Tale materia si presta ad una indagine che incrocia diverse discipline, e si serve di strumenti che attengono agli studi culturali, alla letteratura, alle arti figurative e alla musica, oltre che, naturalmente, alla storia. 1) L’ambito che qui si intende indagare è riferito alla rappresentazione ideologica e simbolica negli anni oggetto di studio, della rivolta antispagnola del 1647-48 nella città e nel regno di Napoli e la rivolta antifrancese conosciuta come Vespri siciliani del 1282. La tragica vicenda di Masaniello era già stata oggetto di scrittura teatrale due anni dopo l’evento storico da parte di un anonimo drammaturgo (T.B.), che ne aveva sottolineato la correlazione fra l’insurrezione plebea di Napoli e la Great English Rebellion. L’uso legittimista, vale a dire a sostegno dell’assolutismo degli Stuart, che veniva proposto, faceva di Masaniello il Cromwell di quella parabola della sovversione ed apologia della restaurazione intesa a stigmatizzare il radicalismo sovversivo della moltitudine in rivolta e l’individualismo autodistruttivo del suo leader. Il potenziale rivoluzionario della storia venne re-interpretato negli anni cruciali dell’Ottocento con cifra di segno opposto e di fatto sottoposto a censura. Ne sono testimonianza il Masaniello di George Soane rappresentato al Drury Lane nel 1825 a cui furono cancellate le allusioni agli spagnoli come colonizzatori e, in genere, ai monarchi, che trattano il popolo come bestie e il Masaniello di James Kenney, rappresentato al Covent Garden nel 1830. La causa rivoluzionaria che emergeva dal testo fu colta dal periodico radicale Poor Man’s Guardian, il quale invitò i suoi lettori a riempire le balconate del teatro per dimostrare al re che, come la moltitudine napoletana, essi avrebbero deposto un re che avesse frustrato le aspettative del popolo. Non vi è dubbio che il movimento risorgimentale italiano ed in particolare i moti del 1820-1821, avessero ri-semantizzato lo stesso paradigma masanelliano, proponendolo in veste nuova. Non è un caso che Felicia Hemans utilizzasse la vicenda dei Vespri nella sua tragedia The Vespers of Palermo nel 1823 strumentalmente ad una riflessione su categorie quali libertà e tirannia, patriottismo e liberalismo versus imperialismo, nuovo ordine sociale contro il disordine e la violenza. Lo stesso James Kenney fu autore di Sicilian Vespers, A Historical Tragedy nel 1840, e John Knowles scrisse John of Procida, the Bridal of Messina nello stesso anno 1840. I tratti formali e ideologici di tali tragedie rendono conto della separatezza fra un assetto conservatore e intollerante e il sogno di una comunità fondata su radici culturali più che ideologiche. 2) L’emergere della nozione moderna di stato-nazione nel diciannovesimo secolo comportò l’esigenza di una ridefinizione dell’identità culturale e politica, colta a pieno da parte di personalità sensibili alle avvisaglie dei nuovi corsi.. Nell’ambito di indagine sopra identificato, un segmento di ricerca sarà dedicato ad una parabola esemplare nella vicenda storico-culturale del Risorgimento nel Regno delle due Sicilie, costituita dalle vicende della diffusione e ricezione in Inghilterra della Storia della Guerra dei Vespri (1842) di Michele Amari, figura di intellettuale di respiro europeo, storico, attivista politico e insigne orientalista, al quale si deve una lettura problematica, degli equilibri fra le varie componenti della civiltà europea in quanto dava nuovo rilievo al contributo dell’Islam. La Guerra di Amari offriva una lettura radicale e iconoclasta dell’evento storico, ed assumeva per questo una forte valenza politica legata agli eventi correnti, tale da rendere il testo un rivoluzionario ‘manifesto politico a chiave’ (Mallette, 2005). Lo studio, composto nei tardi anni trenta dell’Ottocento, pubblicato nel 1842 e sottoposto in seguito a censura dal governo del Regno di Napoli, smontava, sulla base di un’accurata ricognizione documentale, la ricostruzione corrente della rivolta che condusse alla cacciata dei Francesi dalla Sicilia nel 1282 come il prodotto di un’élite aristocratica, guidata da un leader carismatico, a favore di un’interpretazione politicamente attualizzante dell’evento come forma di resistenza popolare ad un regime straniero repressivo. Tale era l’interpretazione anche in ambito britannico, come dimostra l’inclusione dell’episodio nella raccolta miscellanea The Britannic magazine; or entertaining repository of heroic adventures. And memorable exploits. … London,

[1794-1807]. Con il titolo History of the War of the Sicilian Vespers, curato dal Conte di Ellesmere, e tradotto da Anne Barbara Isabella Percy, apparve a Londra nel 1850, quando Amari era in esilio a Parigi da diversi anni, ed aveva avuto numerosi contatti con l’Inghilterra, anche per via delle ricerche di studi orientali, condotti, oltre che a Parigi, a Londra ed Oxford. Amari era stato traduttore negli anni trenta del Marmion di Walter Scott, un progetto di natura letteraria che già nascondeva un sotterraneo sottotesto politico. In misura più decisa, il progetto storiografico dei Vespri, un episodio distante nel tempo, avrebbe consentito di “gridare la rivoluzione senza che il vietasse la censura” (Guerra, I: xxvi). L’intento di scrivere di ‘storia’, e non di ‘romanzi’ (xix), ma con un taglio letterario e narrativo, fa del testo un tentativo ibrido, come suggerisce lo studio recente di Roberto Dainotto (2007), di tradurre la rivoluzione in un’esperienza di massa di accesso immediato, grazie alla mediazione, non impersonale, ma di un autore che si fa personaggio, presente in quanto siciliano: “mi sono proposto, io Siciliano, di narrare la mutazion di dominio, che seguì nella mia patria al cader del secolo decimoterzo.” (I: 2) L’introduzione all’edizione inglese di Lord Francis Egerton, Earl of Ellesmere, peraltro distante politicamente dal radicalismo di Amari, e le numerose recensioni nella stampa periodica britannica, fra cui Gentleman’s Magazine, Bentley’s Miscellany, Fraser’s Magazine, testimoniano da un lato la rilevante valenza del contributo di Amari in sé, concordemente riconosciuta dai recensori, nonché l’interesse che l’argomento, come exemplum storico di fermenti che attraversavano l’intera Europa e le Americhe, suscitava nel contesto britannico. 3) Nell’ambito delle articolate dinamiche che caratterizzarono il processo di unificazione italiano del 1859-1860, la nozione di `liberalismo’ offre uno tra i più emblematici esempi di polisemia che attraversa aree e ambiti differenti, dalla politica all’economia, dalla letteratura alle arti. Come ha recentemente illustrato Susan Ashley in Making Liberalism Work. The Italian Experience, 1860-1914, (2003), la rilevanza di una categoria così fluida e poliedrica emerge soprattutto alla luce delle fitte relazioni culturali e politiche internazionali, e in particolare anglo-italiane, che svolsero un ruolo di primo piano nel definire l’immagine dell’identità nazionale dell’Italia nel lungo processo risorgimentale. Ne sono testimonianza testi di esuli italiani fra i quali l’opera di Tina Whitaker Scalia, Sicily and England (1907) tradotto nel 1948 con il sottotitolo La vita degli esuli italiani in Inghilterra. Le risonanze internazionali del liberalismo che permeò il processo risorgimentale italiano costituiscono un’area di indagine vasta e articolata che sfugge a chiavi di lettura univoche e non può prescindere da considerazioni di più ampio respiro quali la `questione meridionale’, nelle sue complesse relazioni con le nozioni di razza e nazione, come illustra Aliza S. Wong nel suo recente studio Race and Nation in Liberal Italy 1861-1911. Meridionalism, Empire and Diaspora (MacMillan 2006). Non meno rilevante, per altri versi, l’influenza degli stereotipi legati all’immagine dell’Italia e degli Italiani nel contesto culturale europeo del secondo Ottocento, come spiega Robert Casillo in The Empire of Stereotypes, Germaine de Staël and the Idea of Italy (MacMillan 2006). La complessa rete di pratiche discorsive, socio-politiche e culturali che sottende alla polivalenza di “liberalism”, peraltro proprio all’epoca del suo emergere e come termine (che l’Oxford English Dictionary data dal primo 800) e come categoria, verrà indagata attraverso un’attenta disamina dei vari ambiti e contesti in cui il termine ricorreva nell’arco temporale oggetto della ricerca, avvalendosi anche di metodi e strumenti della linguistica dei corpora e della linguistica sistemico funzionale. Nello specifico si procederà alla compilazione di corpora comparabili costituiti da testi italiani e inglesi che abbiano per oggetto le vicende storiche del Risorgimento Italiano al fine di evidenziare la poliedricità semantica e la polivalenza pragmatica del termine liberalism, nonché i presupposti ideologici che le sostengono, in prospettiva interdiscorsiva e transnazionale. 4) All’interno del percorso di ricerca sulle rappresentazioni del Sud in epoca risorgimentale un campo di rilievo è rappresentato dalla traduzione in musica (passando per la letteratura), generalmente compiuta sulla base del luogo comune se non dello stereotipo (uno stereotipo per tutti: la tarantella), dell’idea e dell’immagine del brigante. Lo studio si avvale del raffronto con la diversa presenza del soggetto nell’opera italiana di metà Ottocento, con particolare attenzione a Saverio Mercadante (Altamura, 1795 – Napoli, 1870), notevolissimo autore di melodrammi, per trent’anni (1840 – 1870) Direttore del Conservatorio “S. Pietro a Majella” di Napoli, che ha attraversato tutte le fasi cruciali del passaggio dai Borbone all’unità d’Italia. Di Mercadante, autore, tra l’altro, del melodramma “I briganti” da Schiller, ci sono molte tracce nella BL (ma si deve cercare nella storia dei teatri londinesi), compresi Fantasie su temi di opere composte e pubblicate a Londra, un Inno a Garibaldi e un Inno a Vittorio Emanuele, pubblicati in Italia ma comunque rilevanti. 5) Guglielmo Pepe, abile ufficiale e scrittore di trattati storici, fu, secondo il De Sanctis, il “padre della Rivoluzione Italiana”. La sua più importante opera di carattere storico, Relazione delle circostanze relative agli avvenimenti politici e militari in Napoli nel 1820 e 1821 fu inizialmente pubblicata in inglese, e non in italiano, a Londra, nel 1822, col titolo A Narrative of the Political and Miltiary Events which took place in Naples, in 1820 and 1821. Solo l’anno dopo apparve l’edizione italiana, pubblicata a Parigi. La Relazione costituisce uno spaccato approfondito e appassionato delle vicende che portarono alla fine dell’esperienza murattiana e alla restaurazione borbonica nel regno delle due Sicilie. L’opera di Pepe ricevette l’apprezzamento sincero del Foscolo, anch’egli esule italiano a Londra proprio nel periodo in cui Pepe pubblicava la sua opera in inglese. La ricerca affrontera’ l’opera del Pepe in inglese e in italiano allo scopo di identificare i caratteri distintivi del discorso politico risorgimentale attraverso una analisi linguistica del testo e della sua matrice ideologica. 6) Si propone inoltre una linea di ricerca altra rispetto al corpo centrale del progetto, costituita da uno studio delle traduzioni inglesi de I Promessi Sposi. La prima traduzione inglese dei Promessi Sposi, ad opera del Rev. Charles Swan, fu pubblicata a Pisa nel 1828, ad un anno dalla comparsa del romanzo in Italia dopo la ristrutturazione operata sul Fermo e Lucia (1823); tale prima traduzione fu seguita da numerose altre nel corso di tutto l’Ottocento. La ricerca intende allora vagliare, attraverso un’operazione di translation criticism, la ricezione dell’opera manzoniana e il suo conseguente impatto non solo sulla cultura inglese, ma anche su quella italiana, in particolare nel contesto culturale che attiene al periodo risorgimentale. A tal riguardo particolarmente significativa risulta la rete di rapporti tra Manzoni e William Gladstone, traduttore de “Il cinque maggio.” Sul piano teorico e metodologico, risulta centrale la nozione di letteratura come polisistema (Itamar Even-Zohar), il quale include le opere tradotte e le loro relazioni con gli altri co-sistemi. Pertanto la ‘letteratura tradotta’ può occupare una posizione innovatrice o conservatrice, ‘centrale’ o ‘periferica’, nel polisistema letterario d’arrivo.