La Questione Romantica > Nazionalismo/Internazionalismo

Vita Fortunati

Nel crepuscolo di questa fine del millennio, l’Europa sta vivendo la sua agonia, coinvolta in una crisi mondiale che appare senza possibilità di soluzioni: una crisi che abbraccia tanti settori, dall’ecologico al politico-economico, a quello che, in questo contesto, vorrei analizzare e che riguarda i nostri valori umanistici. Si assiste ad una situazione paradossale, perché se è vero che l’identità culturale dell’Europa appare minacciata dalle culture dei paesi dell’Africa, dell’Asia, dell’Australia, dell’Oceania e delle Indie, è anche vero che proprio queste nuove istanze hanno fatto riemergere con urgenza e prepotenza il problema della sua identità. Le parole crisi, identità risuonano negli studi letterari e da alcune parti si sottolinea che la letteratura europea vive un periodo di stagnazione e che attinge da fuori quelle forme letterarie che non è più in grado di produrre. Questi sono sintomi preoccupanti che ci spingono a capire criticamente ciò che sta succedendo, a rileggere, a rimeditare alcuni testi dell’Ottocento europeo che si erano posti, pur in un diverso contesto storico-politico, alcuni problemi pressanti che oggi riappaiono: che cosa si intende per identità letteraria europea? Che cosa significa riproporre il concetto goethiano di Weltliteratur, quando le letterature del paesi post-coloniali ripropongono con urgenza la questione della loro «identità nazionale», ma anche quella della revisione del canone letterario?

Mi sforzerò di rispondere a questi inquietanti interrogativi articolando il mio discorso su tre punti. 1) Vorrei riprendere la suggestiva ipotesi di lavoro che Franco Moretti

[MORETTI 1993, I, pp. 837-841] ha sostenuto in un saggio in cui ha messo a confronto due modelli di Europa che emergono da due testi: il primo e quello di Novalis Cristianità o Europa del 1799 e il secondo quello di Guizot, Histoire de la civilisation en Europe del 1828. La tesi di Franco Moretti, come vedremo, è che il modello d’Europa prospettato da Guizot sia molto più carico di prospettive future che non quello di Novalis. 2) Attraverso l’esame del manifesto di Giuseppe Mazzini D’una letteratura europea (1829) e del concetto goethiano di Weltliteratur del 1827 emerge una concezione di letteratura europea che sottende non solo una vocazione di universalità, ma anche la consapevolezza che si tratta di un fenomeno dinamico caratterizzato da una pluralità di radici e fonti differenti da quelle greco-romane a quelle giudaico-cristiane, da quelle arabe a quelle celtiche. 3) Infine vorrei proporre Byron come modello di letterato e scrittore europeo, che è, in anticipo sui suoi tempi, anche cittadino del mondo. La sua voce poetica è per eccellenza atopica, ma Byron è anche il poeta che rimane sempre legato alla sua terra d’origine pur condannandola per la sua meschinità e grettezza.

* * *

Novalis e Guizot propongono nelle loro opere due modelli di Europa che sono tra loro contrastanti, perché sottendono due concezioni divergenti del Sacro Romano Impero e della conseguente nascita degli stati nazionali. II modello di Novalis è quello di un’Europa unita nella fede cristiana: una fede che era capace di tenere uniti paesi tra loro molto diversi.

Erano tempi belli, splendidi quelli dell’Europa cristiana, quando un’unica Cristianità abitava questo continente di forma umana e un solo ampio e comune disegno univa le più lontane provincie di questo vasto regno spirituale. Privo di grandi possedimenti secolari, un unico capo supremo governava e teneva unite le grandi forze politiche. [NOVALIS 1942].

Novalis rievoca nostalgicamente l’Europa cristiana del Medioevo che era felice, perché era spiritualmente e politicamente una. E Novalis assegna al potere spirituale della religione cristiana il compito supremo di riunificazione e di pace.

Sull’Europa scorrerà il sangue finché le nazioni non avvertiranno la loro spaventevole follia che le spinge a correre in cerchio e, colpite e placate da una musica sacra, non si accostino ad altari di una volta in una miscela di colori, intraprendano opere di pace, e si celebri una grande agape come festa di pace sui fumanti campi di battaglia, versando […] lacrime cocenti. Soltanto la religione può svegliare l’Europa e assicurare i popoli, e collocare il Cristianesimo, con nuova visibile magnificenza in terra, nel suo antico ufficio, portatore di pace. [NOVALIS 1942, p. 579].

Sarà Curtius che riprenderà, nel suo volume La letteratura europea e il Medio Evo latino (1948), questo modello di Novalis di un’Europa unitaria, il cui centro spirituale è Roma e il cui patrimonio comune è dato dalla permanenza della cultura classica. A questo modello si contrappone quello di Guizot che vede proprio nella caduta dell’universalismo cristiano la causa principale della nascita degli stati europei. La grandezza di questa nuova Europa non consiste più nell’essere unita attorno ad un unico centro di potere spirituale e politico, ma proprio nel suo essersi frantumata in una miriade di stati tra loro differenti per la loro organizzazione politico-sociale e per la loro tradizione linguistico-letteraria. All’idea di un’Europa che attingeva la sua forza da un patrimonio comune, subentra la concezione del tutto nuova che sono proprio le differenze culturali all’origine dell’Europa degli stati nazionali.

Nella storia dei popoli non europei, la coesistenza e il conflitto di principi diversi non sono state che crisi passeggere, incidenti. Tutto al contrario nella civiltà dell’Europa moderna […] che fin dal primo sguardo appare varia, confusa, tempestosa, tutte le forme, tutti i principi di organizzazione sociale vi coesistono; il potere spirituale e temporale, l’elemento teocratico, monarchico, aristocratico, democratico, tutte le classi, tutte le situazioni sociali si mescolano e si affollano; vi sono infinite gradazioni di libertà, di ricchezza, di potere. Tra queste forze esiste un conflitto perpetuo e nessuna di loro riesce a soffocare le altre e ad impadronirsi da sola della società nel suo insieme. […] Nelle idee e nei sentimenti dell’Europa, stessa diversità, stessa lotta. Convinzioni teocratiche, monarchiche, aristocratiche, popolari si incrociano e si combattono. [GUIZOT 1855, pp. 35, 37-38].

Nelle pagine di Guizot si fa strada l’idea molto nuova e feconda dell’Europa come mutevole campo di forza il cui carattere come dice E. Morin: «è di riunire insieme senza confonderle le più grandi diversità e di associare i contrari in maniera non separabile» [MORIN 1987, p. 22.]. Elemento fondamentale di questa Europa come sistema complesso è la «dialogica interculturale», cioè l’interazione dialogica tra culture diverse: «che è qualcosa di più della dialettica, vuol dire il mantenimento della dualità e della pluralità delle istanze che in un certo modo sono complementari ed in un altro concorrenti e antagonistiche» [MORIN 1987, p. 35]. L’Europa ha formato la propria identità attraverso questa ininterrotta alterità: un’identità quindi che comporta la differenza e che richiede l’accettazione dell’alterità.

E’ evidente che questa civiltà non può essere rinvenuta, né la sua storia valutata appieno, entro i confini di un singolo stato. Se la civiltà europea ha una sua unità, la sua varietà non è meno prodigiosa ed essa non si è manifestata appieno in nessun paese. I tratti della sua fisionomia sono sparsi qua e là: bisogna cercare gli elementi che costituiscono la storia europea in Francia come in Inghilterra, in Germania come in Italia e in Spagna. [GUIZOT 1855, pp. 5-6]

Non esiste quindi più un unico centro da cui si irradia la cultura, ma più centri tra loro diversi e disomogenei che si devono confrontare e misurare gli uni con gli altri. L’Europa caratterizzata dalla molteplicità di spazi ha dovuto imparare nel corso dei secoli, a convivere con la diversità, perché questa identità fondata sulle differenze deve, per non essere causa di guerre, portare ad un’inimicizia produttiva.

Vivere con L’altro, vivere come altro dell’altro significa costruire «vere comunanze» con le altre identità, per stabilire con esse un nuovo tipo di rapporto più giusto e più democratico. [GADAMER 1987, p. 30]

Molteplicità, pluralità, differenza, alterità, unità nella diversità, queste sono le parole chiave attorno a cui si gioca oggi il senso dell’identità culturale dell’Europa e che risuonano già nelle pagine di Guizot.

Nelle pagine del manifesto di Giuseppe Mazzini D’una letteratura europea (1829) e nei saggi di Goethe sulla letteratura universale si evidenzia una duplice tensione: da una parte l’aspirazione verso l’universalità, verso il sogno mitico di una letteratura mondiale, dall’altro la preoccupazione di perdere quanto vi è di specifico nella propria cultura e nel proprio linguaggio. In questi scritti Goethe e Mazzini lanciavano l’idea di una letteratura europea, una posizione che si caricava soprattutto nelle pagine di Mazzini di un significato politico-ideologico militante. Lo scrittore ideale è colui che pur partendo dalla sua realtà nazionale sottintende, come dice Adrian Marino: «in modo costante, in tutta la sua opera, l’esistenza e la presenza dell’ “Europa” nella totalità delle sue dimensioni. Egli scrive nella prospettiva europea, con l’ “Europa” integrata, vagheggiata, sognata, immaginata, in filigrana». [MARINO 1990, p. 105]

Le pagine del Mazzini, a voler superare l’impatto di uno stile messianico e retorico, appaiono ricche di idee, cariche di futuro.

A noi pure il nome di Patria suona magico e venerato […] Maledetto chi lo rinnega! Ma dovremo perciò disprezzare quanto sorge di bello e di sublime oltre i nostri confini? […] No; noi deporremo ogni pregiudizio nazionale, e diremo ai sommi scrittori di tutti i popoli e di tutte le età: Venite! Noi vi saluteremo fratelli! […] perché voi avete giovato all’universo. II vostro genio varcò gli argini che la fisica natura impose alle umane tribù. […] Voi avete sentito per tutti: il vostro cuore ha battuto per le sciagure degli uomini meridionali, come di quelli del nord; nessun clima poteva essere così freddo che valesse ad intorpidirvi nel petto l’ardore per l’Umanità. […] La costanza della virtù e la energia della libertà furono vostre […] voi diveniste cittadini del globo. Però noi vi salutiamo fratelli: venite! Anche noi abbiamo Grandi, anche a noi lo spirito di libertà e d’amore spirò grandi cose: noi collocheremo le vostre immagini accanto a’simulacri degli avi; noi v’adoreremo con essi, perché voi aveste comune il raggio della divina potenza. [MAZZINI 1829,1, p. 218]

La letteratura europea presuppone la libera comunicazione e circolazione letteraria che supera le barriere dei confini geografici e si nutre degli stimoli e dei continui scambi di valori da ogni parte del mondo. Dice Goethe:

Già da qualche tempo si parla di una letteratura universale, e non a torto, giacché le nazioni tutte, coinvolte e squassate dalle guerre più spaventose e restituite poi ciascuna a se stessa, hanno potuto rendersi conto d’aver scoperto qualcosa nello straniero, d’averlo assimilato, e avvertito qua e là esigenze spirituali prima sconosciute. Ne è nato il senso dei rapporti di vicinanza, e la cultura invece di rinchiudersi in se come prima, e gradatamente arrivata a chiedere d’essere inclusa nel più o meno libero commercio intellettuale [GOETHE 1961, p. 1080].

In questa prospettiva il problema della traduzione diventa centrale: l’universalista Goethe si rendeva perfettamente conto che l’incontro con un’altra letteratura è prima di tutto l’incontro con la lingua dell’altro.

Qualunque letteratura finisce con l’annoiarsi se si chiude in se stessa, se non trova nuova freschezza nell’interessamento degli stranieri. [GOETHE 1961, p. 1073].

Non è un caso, come ci ricorda G. Stein, che Goethe traducesse da ben diciotto lingue e che la sua attività di traduttore fosse indefessa e durasse per tutta la vita.

Così si deve guardare a chi traduce come ad uno che si sforza da far da mediatore di quel commercio intellettuale e si propone di facilitare gli scambi. Perché, per quanto si possa dire dell’insufficienza della traduzione, essa è e rimane, nel campo delle relazioni mondiali, uno del compiti più importanti e più degni. [GOETHE 1961, p. 1075]

II concetto di letteratura europea ha dato un grosso impulso agli studi comparati: il confronto tra le varie letterature ha una forte carica euristica, perché dischiude nuovi orizzonti e frontiere [BASSNETT 1993, pp. 31-48]. Questo intendeva Goethe quando affermava, parlando dei rapporti fecondi tra le letterature, che fu proprio l’inglese Thomas Carlyle a formulare su Schiller giudizi più acuti degli stessi tedeschi e che questi ultimi erano in grado di interpretare Shakespeare e Byron meglio degli stessi inglesi. I presupposti della letteratura europea sono la coltivazione dei rapporti amichevoli, dei «passi amichevoli» e la tolleranza reciproca.

Ora, tutto quello che nella letteratura di ogni paese viene significato e operato al riguardo, bisogna che le altre nazioni lo assimilino. Occorre di ciascuna imparare a conoscere le particolarità per rispettarle e trovare proprio attraverso quelle un punto di contatto, giacché le peculiarità di una nazione sono come la sua lingua e la sua moneta: facilitano le relazioni, anzi le rendono esse sole possibili. II modo più sicuro per ottenere una tolleranza veramente generale è di accettare senza discutere le particolarità singole di uomini e di nazioni, tenendosi però ben fermi alla convinzione che quanto è veramente meritevole si distingue per appartenere all’intera umanità. [GOETHE 1961, p. 1075]

Sia Mazzini che Goethe condividevano l’idea che bisogna uscir fuori dalle angustie regionali, allargare l’orizzonte – «chi non ha veduto che una sola letteratura, dice Mazzini, non conosce che una pagina del libro». La sfida più interessante che mi pare essere presente nel concetto di letteratura europea è quella di trovare un giusto equilibrio tra una tendenza universalista e quella che mira a salvaguardare la propria specificità nazionale. Ogni singola nazione deve coltivare e mantenere la propria individualità, le proprie aspirazioni e deve stabilire con le altre nazioni «una conoscenza costruttiva» che si fonda su quella che Mazzini definisce «la fratellanza universale». Da questo punto di vista, nel concetto di letteratura europea non vi è l’eliminazione della gara tra le singole letterature, ma vi è invece il tentativo di superare i pregiudizi nazionalistici («l’intollerante malignità», «la mediocrità inoperosa», secondo le parole di Mazzini). Inoltre si fa strada l’idea che tutti i popoli contribuiscano a fondarla, che non esista più un principio gerarchico che distingua le letterature maggiori da quelle minori: Goethe come sappiamo riconosceva l’esistenza di una letteratura serba e boema e Mazzini parlava di un’Europa «dalla Neva all’Ebro». Nel concetto di letteratura europea vi è quindi una dimensione universale che è oggi di grande attualità’: l’attuale proposta di un «comparatismo globale» nasce infatti proprio dalla volontà di costruire una unità nella differenza, di trovare delle basi comuni tra forme letterarie e culture eterogenee [MINER 1990]. Allo stesso modo sia Goethe che Mazzini non volevano né perdere, né mortificare le caratteristiche specifiche di ogni singola nazione, ma tentavano, attraverso la conoscenza e la comparazione reciproca, di stimolare una collaborazione creativa che si fondava su una comunanza di valori, di idee e di forme letterarie.

Vorrei terminare indicando nell’ uomo-poeta Byron colui che nel Romanticismo europeo esemplifica questa doppia tensione tra universalità e amore verso il proprio paese di origine. Byron è il poeta che sceglie ‘esilio e che compie «disperati pellegrinaggi in paesi semisconosciuti come l’Albania colonizzata dall’Impero Ottomano o languenti sotto il dominio straniero, come l’Italia, la Spagna, il Portogallo e la Grecia» [KEMENY 1993, p. 20]. Erede dell’idea illuminista del poeta cosmopolita cittadino del mondo la supera per incarnare la grande Utopia goethiana della Weltliteratur. Byron è il poeta capace di mediare tra le diverse letterature nazionali, che insegna ai popoli a riconoscersi nella stessa organicità culturale dell’idea di Europa, oltrepassando le particolarità nazionali, a ricercare cioè, nella grandissima varietà delle forme, l’universalmente umano.

Bibliografia

  • BASNETT S.: Comparative Literature: A Critical Introduction London, Blackwell 1993
  • GADAMER, H. (1987):La molteplicità d’Europa. Eredità e futuro, in L’identità culturale europea tra germanesimo e latinità, Edizioni Universitarie Jaca.
  • GOETHE, J.W.: Opere, vol. V, Firenze, Sansoni. 1961
  • GUIZOT, F.: Histoire de la civilisation en Europe, 6° ed.,Paris.
  • KEMENY, T.: Introduzione a George Byron, Opere Scelte, Milano, Mondadori. 1993
  • MARINO, A.: “La letteratura europea oggi”, in I Quaderni di Gaia, I.1990
  • MAZZINI, G.: “D’una letteratura europea”, in Antologia, I, nn. 207-8, Firenze.
  • MINER, E. : Comparative Poetics. An Intercultural Essay on Theories of Literature, Princeton University Press. 1990
  • MORETTI, F.: “La letteratura europea”, in Storia d’Europa, vol. I, a cura di P. Anderson, M. Aymard, P. Bairoch, W. Barberis, C. Ginzburg, Torino, Einaudi. 1993
  • MORIN, E. : “il problema dell’identità europea”, in L’identità culturale europea tra germanesimo e latinità, Edizioni Universitarie Jaca. 1987

—— : ( 1988 ) Pensare l’Europa , Milano. 1987

  • NOVALIS : Cristianità o Europa (1799), a cura di M. Manacorda, Torino. 1942