La Questione Romantica > Romanticismo/Medievalismo

Cecilia Pietropoli

It is

[…] impossible to understand the new interest in the Middle Ages and all things medieval which is one of the characteristics of Romanticism, without considering some of the positions which informed the presentation of the Middle Ages as a construct to the contemporary public, in other words its ideological content. By ideology, I mean here a set of ideas or assumptions which articulate or underpin the interpretation of social and political experience [GLENCROSS 1995, p. 1].

Nell’introduzione al proprio saggio sul medievalismo romantico francese Michael Glencross evoca due aspetti essenziali del revival del Medioevo che, a partire dalla metà del XVIII secolo, si diffuse in tutta Europa. L’accenno all’interesse romantico per «all things medieval» sottolinea la vastità del fenomeno, al contempo imputandogli una certa genericità. Il medievalismo fu infatti evento non solo letterario, ma mosse dal rinnovato gusto per il paesaggio, e conseguentemente per l’architettura gotica, per poi estendersi alla politica, al costume, alle arti, fino a includere ogni aspetto delle tradizioni culturali delle singole nazioni. Furono dapprima gli storici a fare appello alla contiguità dell’indagine storica con quella letteraria, in virtù della quale la letteratura poteva essere assunta a prova e documento al pari di ogni altra vestigia del passato, in maggior misura l’epica, in quanto forma poetica strettamente connessa alla storia. E tuttavia i poemi epici narravano fatti occorsi molto prima della loro composizione: letterati e storici furono concordi nel ritenere che essi non fossero altro che trascrizioni tardive di versioni composte oralmente in coincidenza con i fatti, dei quali dunque garantivano la veridicità [AARSLEFF 1985, pp. 102-103]. Non solo ma, convinti che fosse possibile ricostruire la propria storia anche in assenza di documentazione certa, essi colmarono ogni evidente lacuna con la fantasia, riducendo la linea di demarcazione tra storia e letteratura a un segno oltremodo labile e favorendo la sovrapposizione delle due discipline, fino a che lo storico si fece profeta, impegnato non solo a narrare ma anche a ricostruire un passato immaginario, al fine di ipotizzare il futuro [GLENCROSS 1995, p. 89]. Ne consegue che medievalismo e storicismo vennero a coincidere nel momento in cui alla ricerca documentaria e filologica sul Medioevo si affiancò la sua rivisitazione fantastica. E tuttavia lo storicismo romantico non aveva cognizione della soggettività della ricostruzione storica e dei rischi impliciti nell’utilizzo di documenti statici quali quelli letterari al fine di analizzare un processo essenzialmente dinamico come quello della storia [ALLEN 1991, p. 6]. Tale debolezza teorica si estenderà a tutto il XIX secolo e informerà anche le successive teorie e i conseguenti approcci; soltanto a fine secolo si inizierà a porre in discussione la certezza positivista di poter raggiungere verità assolute e a criticarne i metodi di indagine.
La coincidenza di storicismo e medievalismo determinò l’acritica giustapposizione di epoche e culture diverse e per molti aspetti inconciliabili: basti pensare al contraddittorio apprezzamento da parte di un romanticismo innovativo, libertario e fiducioso nel progresso nei confronti di un Medioevo che veniva storicamente percepito come epoca buia, repressiva e dominata dal senso della colpa e dalla superstizione. Ciò diede al revival romantico una natura paradossale di cui la critica ha sovente stigmatizzato l’approssimazione e l’ambiguità ideologica, ritenendolo troppo spesso il frutto di una ricezione appassionata ma priva di basi scientifiche, e quindi informe e disorganico, piuttosto che riconoscere nelle sue articolazioni le diverse e variegate manifestazioni di un’epoca di intense e radicali trasformazioni ideologiche, culturali e sociopolitiche. E’ nostra convinzione al contrario che l’approccio romantico al Medioevo rispondesse a modalità consapevoli e che si assoggettasse a precise formalizzazioni. E’ altresì vero che esso dà prova di un ampio raggio di articolazioni e difformità, tanto sincroniche quanto diacroniche, che la critica, piuttosto che ipotizzare la presenza di una gamma ampia e differenziata di ricezioni, ha tradizionalmente cercato di ricondurre nell’ambito di un’unica definizione onnicomprensiva di medievalismo romantico, il cui presupposto è una ricezione unitaria a diffusione europea che non trova riscontro nei fatti. Pur consapevoli che il medievalismo letterario è solo un aspetto di un più vasto interesse antiquario per la cultura del passato, è dello specifico della letteratura che ci occuperemo in questo saggio, nella consapevolezza che è al revival romantico che la odierna disciplina degli studi letterari medievali fa risalire gran parte dei suoi interessi, dei suoi quesiti e delle sue conoscenze, ma anche raccolte, teorie e ricezioni oggi divenute inaccettabili. La nostra ottica sarà altresì quella della qualità specifica che il fenomeno assunse in Inghilterra, alla luce soprattutto degli aspetti che, differenziandolo dalle forme contigue del medievalismo europeo, ne fecero un fatto locale, che rispondeva a esigenze ideologiche specifiche. La nostra tesi sarà che l’anacronismo e il paradosso, lungi dal rivelare ingenuità e mancanza di scientificità nella ricerca medievalistica romantica, oltre che ambiguità ideologica e politica, fossero strutturali a tale forma di medievalismo, il cui intento era quello di ridurre il divario tra l’ordine, l’uniformità, il senso dell’autorità e la staticità attribuiti al mondo medievale e la vitalità, la multiformità, la pulsione verso la libertà e il movimento dell’esperienza romantica.
II passo di Michael Glencross ci richiama altresì alla consapevolezza della soggettività e della contingenza storica dei fenomeni critici; è dunque innegabile che la rappresentazione romantica del Medioevo fu frutto dell’ideologia contemporanea e che il ruolo degli storici venne a coincidere con quello dei letterati nel momento in cui tanto gli uni quanto gli altri proiettarono sul Medioevo quanto essi auspicavano di trovarvi, ricostruendo un passato del tutto somigliante all’epoca contemporanea o a un’ideale immagine di essa. II determinismo critico non è peraltro un fenomeno solo romantico, tant’è che il fraintendimento cui il titolo del nostro saggio allude è prassi tanto del medievalismo ottocentesco quanto della successiva ricezione di esso. Nella prima metà del XX secolo infatti la critica, riscontrando nel medievalismo romantico un alto livello di ideologizzazione, ha ipotizzato che la ricerca storica si assoggettasse del tutto alle ricostruzioni immaginarie dei medievalisti e ha indicato nella sovrapposizione del ruolo del medievalista a quello dello storico il lineamento caratterizzante l’intero fenomeno, di esso facendo uno dei topoi critici ricorrenti; nell’osservare tuttavia come esso contrasti con il fatto che “Mediaevalism was an attitude that resulted from improved knowledge and understanding of the Middle Ages, which in the early 18Ih century was generally viewed as the “Dark Ages” as so as uncouth, barbaric and “Gothic”[LAMOINE 1992, p. 177], i critici hanno sottolineato la irriducibile difformità tra il diffondersi di vasti e approfonditi interessi antiquari e studi accademici, tesi al recupero di oggetti, documenti e testi letterari originali, e l’immagine artificiosa che del Medioevo veniva correntemente propagata. Grande rilievo si è quindi dato alla diffusa rappresentazione romantica del Medioevo come epoca statica e tradizionalista [NlCHOLS 1991, p. 9]. A tale presunto immobilismo i romantici tuttavia attribuivano, al contrario degli illuministi, valenza positiva, al punto che «The Middle Ages became a metaphor both for a specific social order and, somewhat more vaguely, for a metaphysically harmonious world view» [CHANDLER 1971, p. 1]. Da qui deriva la ricostruzione di un sistema sociale feudale improntato a organicità, serenità e forte spessore morale, di cui Walter Scott ci offre un esempio nella gestione patriarcale della propria gente da parte del sassone Cedric in Ivanhoe, incurante del fatto che l’insistenza sulla necessità dei vincoli di una struttura sociale rigorosamente organizzata denunciasse un radicato, e all’apparenza scarsamente romantico, pessimismo nella capacita dell’individuo di determinare la propria esistenza. Anche nel medievalismo romantico inglese la critica ha dunque rilevato la prassi della sovrapposizione del Medioevo con l’epoca contemporanea, alla ricerca di coincidenze e somiglianze, e ha finito per concludere che “As a social and political ideal the Middle Ages were usually invoked as a corrective to the evils of the present” [CHANDLER 1971, p. 1]. L’applicazione di un simile stereotipo critico porta a logiche conclusioni: mentre il Romanticismo avrebbe dovuto coincidere con innovazione, radicalismo e rivoluzione, in Inghilterra il medievalismo romantico divenne sempre più un fenomeno della borghesia urbana, protestante e patriottica, la quale, nel riproporre il nostalgico rimpianto di un passato idealizzato, avrebbe dato prova di mancare totalmente di senso della storia e di essere affetta da un perspicace conservatorismo che alla storia negava la prerogativa del cambiamento [NIKOLOPOULOU 1994, p. 143].
L’immagine di un Medioevo statico e uniforme si è propagata fino al modernismo e ha condizionato il resoconto scientifico del Medioevo come epoca storica e sociale, fino a quando un nuovo scetticismo metodologico ha messo in luce i condizionamenti psicologici e culturali di una simile ricostruzione. II rinnovato interesse per il Medioevo, esploso nella seconda metà del XX secolo, ha dato origine a un approccio critico, noto come neomedievalismo, il quale, piuttosto che predicare una specifica metodologia, incoraggia il medievalista a porre in discussione e riformulare le disposizioni della disciplina degli studi medievali. Oggi, alla luce di nuovi approcci e metodologie e delle risultanze della ricerca microstorica, si percepiscono mutamenti anche nella cultura medievale, fino a riconoscere che «the alternate reality of the Middle Ages was a slippery and dangerous world of motion» [NlCHOLS 1991, p. 22], caratterizzato per di più da una sorta di «oxymoronic status of change» [NlCHOLS 1991, p. 8]. Col mutare della percezione del Medioevo come epoca storica, cambia anche il concetto di medievalismo, che necessita a sua volta di una ridefinizione. Non solo, ma si riconosce che anche la nostra ricezione del medievalismo romantico è stata soggetta alle imposizioni ideologiche e culturali dei critici prima vittoriani e poi modernisti. Una sua rivisitazione può quindi proporre motivazioni e risposte diverse agli evidenti paradossi e alle presunte ambiguità.
Premessa alla nostra indagine è la prassi critica per la quale il neomedievalismo si occupa, piuttosto che di fasi e fenomeni sincronici, di processi di trasformazione culturale e legge quindi il romanticismo come fase intermedia tra la prospettiva illuminista e quella modernista. La prospettiva storica ci porta a riconoscere che il medievalismo romantico, oltre a essere meno uniforme sincronicamente di quanto si sia detto, non è affatto statico nemmeno in senso diacronico, per cui tra il primo revival e l’ultima sua fase si delineano evoluzioni e differenze che possono rendere ragione di alcuni dei presunti paradossi. È quindi nel giusto Bergner quando afferma, citando Chandler, Girouard, Merriman, Taylor e Brewer, Morris, che nemmeno i testi critici più apprezzati danno valutazioni del tutto soddisfacenti [BERGNER 1987, p. 22]. Infatti ognuno, pur nella validità del proprio specifico approccio, tocca solo un aspetto del problema, senza poi ricondurlo al quadro di un movimento variegato e complesso.
La prima fase del medievalismo assunse in Inghilterra i toni del primitivismo, inteso come una ricerca delle origini tesa a sottolineare la continuità delle tradizioni autoctone, poiché al Medioevo la borghesia radicale inglese riconduceva le proprie strutture sociali, economiche, politiche e intellettuali. I primitivisti leggevano dunque il Medioevo non tanto come un’epoca storica, quanto come il contenitore di una mitologia delle origini che veniva attribuita a un passato lontano e indefinito. Vero è che in epoca romantica tutti i gruppi culturali europei cercarono la loro identità nazionale nel proprio passato. In Germania tuttavia il medievalismo, nel tentativo di ricostruire un carattere nazionale distintivo prima dell’invasione francese [BARCLAY 1993, p. 5], fece uso dell’interpretazione mitologica della storia al fine di delineare contrasti piuttosto che analogici tra il Medioevo e l’epoca contemporanea. Dopo l’era napoleonica anche la Francia si aprì a idee che venivano dall’ estero e iniziò a guardare alla Germania [WORKMAN 1994, p. 2]; di conseguenza un forte movimento radicale si oppose alla politica reazionaria della restaurazione. E’ altresì vero che all’ interpretazione liberale anche in Francia se ne contrappose apertamente una più conservatrice che, in appoggio alla politica del sovrano, riscontrava, piuttosto che preoccupanti alterità, astoriche e anacronistiche coincidenze tra presente e passato. In Inghilterra al revival gotico vennero annesse valenze rivoluzionarie solo per un breve periodo, quando alla fine del ‘700 si temette un attacco da parte dei francesi. Ma, ad eccezione di questo sporadico episodio, la specificità della storia sociale e politica dell’Inghilterra rispetto al resto d’Europa fece sì che il medievalismo romantico inglese si evolvesse come fenomeno conservatore, teso a sottolineare la maggiore continuità della storia politica dell’Inghilterra rispetto a Francia e Germania e l’origine medievale delle sue più importanti istituzioni. II legame con il Medioevo era dunque già talmente connaturato alla tradizione culturale inglese che il termine revival può suonare qui inadeguato; è comunque evidente come il segno distintivo della prima fase medievalista in suolo inglese fosse che “The eighteenth-century Gothic Revival in England, which in the rest of Europe was becoming Romanticism, was in England becoming a new kind of medievalism ” [WORKMAN 1994, p. 6]. La riprova è nel fatto che i termini medievalismo e romanticismo sono stati in Inghilterra usati in maniera quasi del tutto indifferenziata fino all’inizio del XX secolo, quando un nuovo e diverso approccio accademico al romanticismo portò a rivedere anche la relativa terminologia. II Medioevo era dunque visto come un punto di riferimento, come una guida per presente e futuro; solo successivamente, quando si inizierà a guardare ad esso dall’ottica dell’alterità e quando la progressiva alienazione dell’individuo dai propri simili e dal proprio contesto minerà la fiducia nel progresso, il vittorianesimo opporrà il passato al presente.
La ricostruzione del filo ininterrotto che lega la cultura moderna a quella medievale ci consente di eliminare il diffuso postulato teorico secondo il quale il Medioevo, latente per secoli, sia improvvisamente riapparso all’attenzione. Scrive a tal proposito Bergner che “Every survey of European Romanticism states that it was only during this period that the Middle Ages were revealed to modern man for the first time. Most of the monographs and handbooks on English Romanticism go no further than this quite inaccurate observation, neglecting the numerous uncertainties and problems resulting from such a statement” [BERGNER 1987, p. 22]. In realtà in Inghilterra, più che in ogni altro paese europeo, un’attenta collocazione cronologica dei fenomeni porta a rilevare una continuità tra gli studi classici e quelli romantici; romanticismo e classicismo non vennero qui posti in contrapposizione nemmeno dopo che il libro De I’Allemagne della de Staël tale dualismo ebbe prepotentemente proposto all’attenzione e nemmeno dopo che il fenomeno del Romanticismo, che aveva avuto origine in Inghilterra, venne qui reimportato, riveduto e corretto, dalla Germania, tant’è che la distinzione esplicita tra classico e romantico non rientrò mai nella terminologia critica corrente [WORKMAN 1994, p. 5]. In effetti mentre in Francia e ancor più in Germania la situazione politica fece sì che si ipotizzasse una rivoluzione anche in termini letterari, proponendo le opere del Romanticismo come radicalmente innovative, in Inghilterra si puntava piuttosto a sottolineare la continuità della propria tradizione poetica e letteraria. È considerata in tal senso esemplare la poetica di William Blake: infatti, nelle parole di William Richey, ” […] far from repudiating the classics, he was at this time trying to blend the aesthetic values embodied in ancient Greek art with native British or Gothic subject matter”  [RlCHEY 1994, P- 74].
Significativo è il fatto che Blake attribuisse alla propria ricerca nell’ambito dell’antichità classica, ma anche della fase leggendaria della storia locale una valenza politica, cercando nel passato esempi di corruzione monarchica ed ecclesiastica cui far risalire la contemporanea crisi di tali istituzioni.
L’Inghilterra aveva peraltro avuto un movimento di ricerca sul Medioevo già nel ‘600, e già allora gli studiosi andavano alla ricerca di documenti latini, anglosassoni o anglonormanni per rendere ragione delle contese ecclesiastiche, politiche e legali legate alla guerra civile e alla restaurazione; essi rigettavano però la poesia come immorale e poco istruttiva [DONATELLI 1991, p. 437]. L’interesse per la letteratura venne comunque tenuto vivo a livello popolare, con la produzione di libretti, o chapbook, i cui racconti avevano le strutture e i motivi del romanzo cavalleresco, anche se il contenuto era in genere fornito da problematiche contemporanee. E tuttavia «[…] the chapbook romances represents an important strand in the transmission of medieval culture and in the production of the Middle Ages as a new discourse» [SIMONS 1992, p. 128], poiché spesso fu a queste riscritture piuttosto che agli originali che gli scrittori romantici si ispirarono. II medievalismo settecentesco non fece dunque altro che riprendere l’approccio al Medioevo dei ricercatori del secolo XVII e la sua natura paradossale può trovare una prima spiegazione nel fatto che l’immagine del Medioevo dai letterati condivisa era in buona misura a sua volta frutto di un processo di ricezione. E’ bene inoltre ricordare come per i romantici inglesi il Medioevo si estendesse fino a includere il Rinascimento, la letteratura «medievale» ad essi più nota, essendo quella di Spenser e di Shakespeare, e l’immagine del Medioevo più diffusa quella che scaturiva dalle loro opere.
Nel ‘700 l’interesse documentato per il Medioevo fu perseguito dai grandi antiquari augustei i quali inclusero la letteratura nel loro terreno di indagine; e tuttavia le loro opere erano frutto di una ricerca scientifica che non aveva nulla di romantico. Completamente diverso fu al contrario lo scopo di opere come le Letters on Chivalry and Romance di Richard Hurd (1762), delle Reliques of Ancient English Poetry di Thomas Percy (1765) o della History of English Poetry di Thomas Warton (1774-1781), poiché essi diedero spazio tanto alla ricerca bibliografica quanto alla ricostruzione immaginaria: tale fusione di scientificità e fantasia è strettamente legata all’evoluzione dei canoni dell’estetica segnalata da Edmund Burke nella sua A Philosophical Enquiry into the Origin of our Ideas of the Sublime and the Beautiful. È significativo a tale proposito il fatto che i primi testi originali tramite cui si venne a contatto con lo spirito del Medioevo furono le ballate, genere che trasmette un’immagine dell’epoca incentrata sul gusto popolare e come tale parziale e soggettiva. E’ comprensibile come i romantici sentissero le ballate molto prossime alla loro sensibilità, in quanto opere collettive e tradizionali e meno soggette di altre alle regole del proprio genere. Ma ciò che dovette suonare in particolar modo attraente fu il fatto che la ballata, minimamente influenzata dal Cristianesimo, si basasse piuttosto sulla leggenda e il mito. II fatto poi che fosse un genere poco documentato, appartenente più alla tradizione orale che a quella scritta, fece sì che fosse facilmente rimaneggiabile e che si prestasse a opere di interpolazione e di riscrittura.
A sottolineare l’articolazione dell’approccio alla poesia medievale Francis Gentry e Ulrich Muller identificano quattro modi di ricezione che vanno da quello accademico, basato sul rigore filologico e la scientificità-documentaria, e quello riproduttivo, per cui si cerca di ricostruire la forma originaria delle opere medievali, a quello produttivo, in cui temi e opere vengono trasformati in opere del tutto nuove, e quello ideologico-politico, che reinterpreta liberamente il materiale letterario al fine di legittimare o confutare il presente [GENTRY and MÜLLER 1991, p. 401]. I primi medievalisti inglesi non misero queste diverse metodologie in opposizione, ma scelsero piuttosto di ibridarle: Thomas Percy, che era serio ricercatore e studioso e che basa la sua raccolta su un vecchio manoscritto di canzoni, mirava a volte a recuperare i testi medievali, mentre in altre occasioni, trovandoli frammentari o di difficile comprensione, interveniva su di essi con determinazione, oppure li sostituiva con testi di sua completa invenzione. È significativo a questo proposito il fatto che la ballata dedicata a Sir Cauline, considerata come esemplare all’interno della raccolta dei Reliques of Ancient English Poetry e che presumibilmente servì da fonte alla ballata «gotica» di Coleridge Christabel, fu di completa invenzione del Percy stesso. E tuttavia, contemporaneamente all’uscita delle Reliques, Joseph Ritson pubblicava le sue edizioni accademiche delle ballate e criticava la prassi editoriale di Percy come priva di scientificità. A tale prassi editoriale si rifece anche Walter Scott il quale nella sua raccolta Minstrelsy of the Scottish Border, pur applicando con filologico rigore ai propri testi l’approccio consueto per i classici, non sembrò curarsi della loro autenticità e procedette mescolando opere medievali con interpolazioni e nuove composizioni. E tuttavia, rispetto ai suoi predecessori, Scott si mostrò molto più consapevole dei presupposti e delle conseguenze di un tale accostamento e, cogliendo le ragioni alla base della critica di Ritson, separò chiaramente nella sua raccolta le ballate moderne da quelle originali [FISCHER 1991, p. 39].
La prassi della contaminazione può forse trovare una sua giustificazione in un ulteriore paradosso che percorse tutto il medievalismo romantico inglese: poiché il termine «gothic» non aveva mai del tutto perso l’accezione di barbarico, l’apprezzamento per il Medioevo e l’attrazione da questo esercitata mossero di pari passo con un certo più o meno velato disprezzo per la natura incolta e rozza della sua letteratura. Nella dedica delle Reliques Percy proponeva le ballate come il prodotto di un passato barbaro e privo di qualsivoglia sensibilità letteraria; e tuttavia egli avvertì in esse la presenza di un genio antico, e, cosa ancora più innovativa rispetto al periodo di composizione della sua raccolta, suggerì l’opportunità di ricercare nelle opere letterarie le tracce dei costumi e del pensiero di genti remote. Dello stesso contraddittorio approccio darà ancora prova Walter Scott, il quale, ponendo la sua competenza scientifica a servizio dell’immaginazione, aveva idee di natura conflittuale sulla cultura del Medioevo, per cui da un canto ne proponeva i sentimenti di lealtà e di eroismo e dall’altro riteneva che la sua letteratura fosse piuttosto rozza e di scarsa attrattiva [BERGNER 1987, p. 33]. È quindi comprensibile come molti letterati romantici mostrassero di preferire agli originali gotici i frutti del revival gotico: ne derivarono opere al contempo romantiche e medievali, quali i gothic novel o i poemi pseudomedievali di Chatterton e Macpherson.
E tuttavia il rapporto tra rigore filologico e forgery venne mutando dalla metà del ‘700 al pieno romanticismo. Per capirne la diacronia può essere utile rievocare la vicenda di Thomas Chatterton, la cui proposta di proprie opere come autentiche composizioni medievali venne stigmatizzata pesantemente, in maniera particolare da Horace Walpole; tale intolleranza pare sia stato uno dei motivi che lo spinsero al suicidio.1 A pochi decenni di distanza tuttavia le sue opere furono recepite in tutt’altra maniera. La cronologia degli eventi e delle persone in essi coinvolte può forse spiegare l’apparente contraddittorietà degli atteggiamenti. II curatore dei Poems attribuiti al poeta cinquecentesco Thomas Rowley apparsi nel 1777 era Thomas Tyrwhitt, rigoroso filologo noto per la sua edizione accademica dei Canterbury Tales del 1775. Nel 1803 le stesse poesie vennero incluse nell’edizione delle opere di Chatterton in tre volumi. II curatore era in questo caso Robert Southey, il quale interpretò il proprio ruolo di editor in maniera piuttosto innovativa rispetto all’approccio di Tyrwhitt: mentre questi non sembrava ancora interessato a scindere documenti certi da ricostruzioni immaginarie, Southey si mostrava al contrario ben consapevole del modo di procedere di Chatterton [BAINES 1994, p. 45]. L’interesse antiquario e quello poetico giunsero quindi progressivamente a scindersi in due fenomeni diversi, a far sì che scienza e immaginazione si distanziassero, creando due campi di indagine nettamente separati. In questa fase la ricerca accademica venne coscientemente a supporto dell’immaginazione e la presa di consapevolezza della specificità di opere di fantasia rispetto agli studi scientifici fece sì che la forgery letteraria non fosse più considerata un crimine [BAINES 1994, p. 46]. Nel corso di pochi anni il medievalismo era venuto creando un nuovo prodotto con caratteristiche sue proprie, la literary ballad, forma poetica che mirava a liberare il genere delle sue rudezze e dell’elemento di originaria popolarità. Tanto la ballata popolare quanto quella letteraria si concentravano su un singolo evento principale, da entrambe narrato in maniera piuttosto erratica; tuttavia la ballata letteraria restringeva il campo dei propri temi, privilegiando quelli legati alla realtà ultraterrena, tant’è che secondo S. T. Coleridge suo compito era quello di rappresentare il soprannaturale attribuendogli una forma plausibile. Anche la forma era più ricercata nell’uso di immagini meno stereotipe e nella proposta di nessi temporali e narrativi, frutto dell’evidente presenza di un narratore: il titolo di Lyrical Ballads dato da Wordsworth e Coleridge alla loro raccolta allude infatti a una percezione soggettiva che supera i confini generici della ballata tradizionale. Quando le Lyrical Ballads vennero pubblicate era già netta la distinzione tra approcci accademico e riproduttivo e approccio produttivo, per cui il medievalismo di Wordsworth e ancor più quello di Coleridge non si proponevano di recuperare il Medioevo, ma esplicitamente dichiaravano di volersene servire come di una risorsa per l’immaginazione. E non è un caso che entrambi considerassero Chatterton un grande poeta della natura; sulla loro scia si porrà Keats, che a Chatterton dedicò il suo Endymion e a lui si ispirò nel comporre i suoi poemi medievali.
La scissione consapevole tra ciò che era originale e ciò che era rivisitazione o ricostruzione portò d’altro canto gli accademici a impegnarsi nel riproporre i testi medievali. Se quindi all’inizio del revival medievalista solo Chaucer aveva una certa diffusione, nei primi decenni del XIX secolo la produzione di nuove edizioni fu inarrestabile: nel 1804 Walter Scott propose una edizione filologicamente corretta di Sir Tristrem, anche se non resistette alla tentazione di riscriverne il finale perduto; il 1813 fu l’anno di Piers Plowman; il 1816 vide addirittura due diverse edizioni del compendio arturiano di Thomas Malory. La rinnovata distinzione tra scienza e letteratura, tra ragione e immaginazione, mosse di pan passo con l’evoluzione dello storicismo e del conseguente senso del relativismo. Anche se è solo agli anni tra il 1830 e il 1860 che si fa risalire la nascita della disciplina della storiografia, si è visto come la consapevolezza dell’esistenza di un Medioevo diverso dalla sua ricostruzione immaginaria si fosse fatta strada tra gli studiosi e i poeti ben prima. Gli effetti dell’evoluzione del senso della storia sono particolarmente percepibili nell’altro genere su cui, accanto alla ballata, si fondò il revival romantico: il romance. II nome stesso di romance implica un legame con la chiesa cattolica romana, il che suggerì all’Inghilterra protestante un atteggiamento ossimorico di attrazione e repulsione. Fin dal 1580 la teologia della riforma aveva ricusato il romance in quanto genere profano. Nella seconda meta del ‘700 alcuni storici e accademici illuministi già indicavano nel Medioevo cattolico le origini delle più apprezzate istituzioni britanniche, senza tuttavia riuscire a erodere l’atteggiamento critico nei confronti della superstizione che si riteneva ingenerata dal cattolicesimo romano, di cui sono esempio l’atteggiamento contraddittorio di Thomas Percy o il primo romanzo gotico, The Castle of Otranto di Horace Walpole. Si è detto come in Inghilterra i massimi artefici del medievalismo romantico provenissero dalla borghesia protestante: la qualità sostanzialmente conservatrice del loro approccio non consente che qui si affermasse, come in Germania, il revival del cattolicesimo, inteso come religione caratterizzante il passato da opporsi al protestantesimo del presente. E tuttavia, essendo il medievalismo legato all’idea di nazionalità, era inevitabile che dovesse manifestarsi un interesse per il genere cui era stata affidata la trasmissione della mitologia delle origini, in maniera particolare per la materia arturiana, e che la cavalleria finisse per essere apprezzata proprio in virtù del suo valore morale e cristiano. La nuova enfasi sull’immaginazione e lo sviluppo di nozioni come quella del sublime aprirono infatti la strada a nuove percezioni e portarono a rivalutare anche la contraddittoria spiritualità del Medioevo. Produceva inevitabilmente ambiguità l’uso stesso del romance che, proprio per via dei suoi retaggi culturali e religiosi, appariva anche come il genere capace di esprimere il sovrannaturale, poiché «Equating the marvellous with the supernatural and associating it with romance means that it is fair to interpret fabling as mythologizing rather than mere story telling» [MORRIS 1984, p. 38]. Anche tale fenomeno dà prova di avere subito una evoluzione in senso diacronico. Kevin Morris sottolinea come già James Beattie nel 1763 in On Fable and Romance avesse rilevato «the supernatural and quasi-divine aspect of poetry» per suggerire «that medieval religion is suited to the poetic creation of the marvellous» [MORRIS 1984, p. 38]. Thomas Warton, al pari degli altri rimpiangendo la qualità fantastica e la potenzialità dell’espressione poetica del passato, suggeriva a sua volta un recupero della superstizione medievale nella sfera letteraria, perchè anch’essa stimolo all’immaginazione [MORRIS 1984, p. 42]. È intuibile come la natura soggettiva ed emozionale della poesia delle origini dovesse attrarre i primitivisti: il medievalismo romantico inglese, se pur nato dall’esigenza politica di tracciare la storia delle proprie istituzioni, assunse ben presto una coloratura prevalentemente estetica, cosa che rese possibile mantenere un certo distacco critico dal Medioevo sul piano ideologico, ma apprezzare al contempo la qualità dell’immaginazione delle sue espressioni letterarie. E non è un caso che il primo elemento su cui la ritrovata immaginazione esercitò la propria creatività fu il Medioevo stesso.
Nonostante dunque che il romance medievale fosse nato come genere vernacolo, e quindi innovativo e legato al contingente, i romantici, che ne vennero peraltro a conoscenza prevalentemente tramite la ricezione rinascimentale e seicentesca, lo considerarono depositario di un passato arcaico e ideale [COPELAND 1991, p. 220]. Ritenendo i primi medievalisti che il confine tra storia, mito e poesia fosse indefinito, essi accostarono storia e romance in un genere innovativo e originale, il romanzo gotico, che, al pari delle ballate pseudogotiche cui abbiamo gia avuto modo di accennare, si mostrò capace di colmare con la fantasia gli spazi che la storia lasciava scoperti, alla ricerca dell’eterno ricorrere di temi universali e del tutto astorici quali il conflitto tra bene e male e la lotta tra vizi e virtù. Le condizioni per la nascita del romanzo gotico erano implicite nell’accezione che il termine «gothic» aveva assunto nel diciottesimo secolo, con le sue implicazioni di mitico e irrazionale, ma anche di oscuro e orrifico. Dal canto suo Coleridge proporrà ancora l’arte gotica come il riferimento più immediato per i romantici, in quanto caratterizzata dal dinamismo e da quella forma di organicità tipicamente naturale che è obbiettivo della letteratura imitare e ricostruire. Era nel tardo Medioevo che quindi egli riscontrava la realizzazione più compiuta dell’agognata combinazione di fisico e metafisico. E tuttavia già la fine del Settecento aveva visto i primi attacchi al romanzo gotico: Wordsworth lo condannò nel Preface alle Lyrical Ballads e anche Coleridge finì per stigmatizzarne gli eccessi e la palese volgarità, sottolineando come tale genere avesse rinunciato all’originaria funzione educativa e moralizzatrice nel momento in cui gli scrittori avevano piegato gli elementi del gotico alla necessità di rispondere alle richieste di un pubblico sempre più vasto e popolare. A riprova di come un movimento nato su basi rigorosamente ideologiche evolvesse in un movimento essenzialmente estetico, sta il fatto che Coleridge recupererà il nuovo genere soltanto quando le sue componenti verranno assunte nella letteratura alta, ma soprattutto quando egli inizierà a riconoscere il piacere estetico come un valore indipendente dalla morale e dall’intento didattico [GAMER 1994, p. 138].
Soltanto in una fase successiva all’esplosione della letteratura neogotica, coincidente con la nascita del romanzo storico, l’interesse culturale prevarrà su quello metafisico e, nella consapevolezza che ogni epoca determina una propria specifica cultura, si muoverà alla ricerca delle peculiarità e delle difformità create dal processo storico. Si è detto di come il progressivo svilupparsi della coscienza storica facesse sì che nel corso del XIX secolo la storia si imponesse come campo di indagine specifico e diverso da quello della letteratura [BANN 1989, p. 102], per cui furono gli eredi dei grandi antiquari settecenteschi a riportare all’attenzione la necessità di stabilire l’autenticità degli oggetti che si intendeva utilizzare come vestigia del passato, liberandoli dalla collocazione del tutto astorica in cui li aveva posti il neoclassicismo. Fu cosi che, intorno al 1820, il cerchio dell’esplorazione romantica del Medioevo si chiuse per riproporre da un canto la settecentesca ricerca antiquaria che nulla aveva di romantico e dall’altro per dare vita a un medievalismo di diversa natura. La nuova sensibilità del XIX secolo coinvolse anche la ricezione della letteratura, opponendo alla corrente lettura statica una lettura dinamica e trasformando l’approccio sincronico in approccio diacronico, fino a dar vita alla nozione di storia della letteratura. Si alzò allora la voce di chi rilevava la necessità di riportare le vicende dei cavalieri nel loro contesto originario; al contempo si iniziò a porre in discussione il valore della letteratura come documento della storia: i ruoli dello storico e del medievalista vennero ricondotti al giusto rapporto e alle rispettive competenze, per cui l’ambito letterario divenne campo d’indagine del solo medievalista, il quale dal canto suo riconobbe come le ricostruzioni fantastiche fossero tutt’altra cosa rispetto ai resoconti scientifici.
Già nei primi decenni dell’Ottocento si andava peraltro formando la consapevolezza della diversità tra romanzo e storia: Walter Scott, il quale scriveva simultaneamente saggi e romanzi, era del tutto consapevole della differenza, tant’è che alla sua narrativa dava esplicitamente il nome di «tale». Non solo, ma nell’epistola dedicatoria di Marmion definì la sua composizione «a romantic tale», dando prova della consapevolezza della derivazione del tale contemporaneo dal romance medievale [MITCHELL 1987, p. 97]. E tuttavia Scott, con la sua percezione dell’interazione tra uomini, eventi e contesti, influenzò anche la formazione della storia come disciplina autonoma dalla letteratura. Una competenza scientifica gli era infatti necessaria, poiché il romanzo storico era più vincolante rispetto all’espressione della pura fantasia e imponeva che anche le vicende e i personaggi inventati rispondessero a regole di possibilità e di credibilità. Torna dunque utile la ricerca degli antiquari e il loro dedicarsi al recupero di vestigia, documenti e oggetti: era infatti alla precisione nella ricostruzione degli ambienti, dei costumi e dei dettagli che il romanzo storico affidava la propria credibilità.
II medievalismo romantico inglese si improntò dunque gradatamente all’emergente storicismo, che riconosceva al Medioevo lo statuto di epoca storica per collocarlo alle origini di un processo, del quale andava apprezzata, accanto ai segni della continuità e della tradizione, anche la disponibilità al cambiamento e alla diversità. A tale progressiva evoluzione del pensiero medievalista va ricondotta la differenza, così chiaramente delineata da Lukács [LUKÁCS 1974, p. 9], dell’approccio al passato del romanzo storico rispetto al romanzo gotico alla Walpole. Scott non sovrapponeva il presente al passato alla ricerca di elementi universali e permanenti, ma accostava due momenti di una cultura che avvertiva come diversi, se pur correlati e interdipendenti, nella consapevolezza che ogni nostalgico rimpianto è vano, così come è anacronistico immaginare di vedere arrestarsi il cammino della storia. D’altro canto la letteratura intesa come attività professionale, al pari della nuova disciplina della storia, si trovò a dover tenere conto dei gusti di un pubblico sempre più vasto e anonimo, poiché l’interesse per il passato venne a coincidere con l’ampliarsi del circolo dei lettori e con la popolarizzazione della cultura, con la conseguenza che «[…] the critics who belonged to the old school and the truly educated public no longer dictated literary taste in the same way as they had in the eighteenth century» [FISCHER 1991, p. 48]. E poiché un romanzo trasmette la conoscenza storica necessaria a costruire il proprio passato nazionale in maniera più semplice e accattivante di un trattato di storia, ecco che il romanzo storico si assunse anche il compito di dare alla storia la necessaria attrattiva [RIGNEY 1989, p. 127]. Quando poi intorno alla metà del secolo la cultura si scinderà in cultura alta e cultura popolare, dando vita a due filoni al contempo contrapposti e paralleli, la cavalleria protagonista del romance, che originariamente aveva con la sua etica conquistato le classi alte, tornerà, come ai tempi della sua diffusione tramite i chapbook, a essere materia prevalentemente popolare. Sarà poi il crollo del pensiero positivista a rivelare come neppure gli storici riproducessero un messaggio certo che era stato inscritto una volta per sempre nel passato. I confini tra storia e letteratura saranno nuovamente concepiti come labili e incerti, fino a che le grandi accademie di Oxford e Cambridge imporranno una più rigorosa analisi scientifica del Medioevo a scapito della rivisitazione medievalista. Nei primi decenni del XX secolo cavalleria e Medioevo scompariranno progressivamente dalla letteratura alta, per lasciare qualche traccia nella letteratura popolare e nella sua successiva articolazione in letteratura rosa.
Risulta quindi evidente come il medievalismo romantico abbia avuto in Inghilterra una storia e una coloritura particolari, il lineamento caratterizzante essendo la sua disponibilità ad assoggettarsi alla necessità di ricatturare il passato alla ricerca di una legittimazione delle correnti istituzioni politiche e sociali e della letteratura nazionale. Le contaminazioni e le riscritture dei testi medievali quindi, più che voler conformare le ricezione del Medioevo all’ideale romantico di esso in nome di un generico e acritico apprezzamento, rispondevano alla precisa scelta ideologica di attribuire ai testi vernacoli importanza pari a quella dei classici [MITCHELL 1987p. 97]. Anacronismo e accostamento paradossale di valori contrapposti erano quindi non segno di disattenzione e di disinteresse nei confronti della correttezza scientifica della propria indagine, ma funzionali all’affermazione della continuità delle proprie tradizioni. È altresì necessario tenere presente come il rapporto tra medievalismo e romanticismo sia stato tra il 1750 e il 1850 alquanto fluttuante: mentre quindi i due movimenti coincidevano quasi integralmente all’inizio del revival gotico, essi andarono via via differenziandosi di fronte al diversificarsi della letteratura alta da quella popolare, all’affermarsi della sua funzione estetica rispetto a quella politica e all’articolarsi del rapporto tra letteratura e storia. Medievalismo e romanticismo non furono più sovrapponibili quando il medievalismo riconobbe la dimensione utopica delle proprie ricostruzioni e si adoperò a ricercare la giusta combinazione di scientificità e immaginazione al fine di non tanto proporre come autentiche immagini e opere fittizie, ma di imporre atmosfere, armonie ed estetismi di derivazione medievale a prodotti dichiaratamente contemporanei. Il medievalismo romantico appare meno ambiguo e paradossale di quanto non si sia per lungo tempo creduto nel momento in cui le sue contraddizioni e gli ossimori trovano una loro collocazione e giustificazione all’interno delle articolazioni del movimento, dando prova di essere fenomeni consapevoli e volontari.


1 Chatterton non fu peraltro l’unica vittima: numerosi processi per forgery si conclusero con la pena capitale, essendo tale reato considerate alla stregua di una truffa commerciale.

2 E d’altronde l’aggettivo «romantique» nella definizione di Mme de Staël verrà ad indicare una poesia che ha la propria fonte nelle canzoni dei trovatori, a loro volta espressione della cavalleria e della cristianità.


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